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Attenti al gorilla.

Una donna è vittima di un uomo non tanto in funzione della forza di questo, ma del potere che egli esercita su di lei.

La forza fisica è solo uno degli strumenti di questo potere, e spesso nemmeno il più efficace o il più utilizzato. Una donna che in palestra fa squat con 100 kg più di quanto faccia io, non eguaglia il mio privilegio sistemico in quanto uomo. La sua forza fisica, per quanto superiore alla mia e a quella di tantissimi altri uomini, non la protegge dal potere che la nostra cultura conferisce al maschile.

Questo potere non ha bisogno di bicipiti.

Perciò attenti al gorilla. Attenzione a non usare la differenza di forza fisica come confortevole causa prima del patriarcato, come sigillo biologico che giustifica questo squilibrio. È una narrazione riduttiva e un alibi pericoloso. Ridurre tutto a una questione di muscoli occulta le radici sistemiche, culturali, economiche e psicologiche – e presenta questo squilibrio come un dato di fatto inevitabile, anziché come la dinamica di potere che realmente è.  

È potere quando un uomo ti impedisce di avere una vita autonoma, tenendoti sotto scacco non dei ceffoni che potrebbe darti, ma del suo privilegio patriarcale. Un privilegio che legittima i suoi comportamenti agli occhi della società e che gli copre sempre le spalle.

È potere quando ti dice quello che vuole, come vuole, in pubblico e in privato, mancandoti di rispetto, forte del fatto che se tu reagisci verrai etichettata come "isterica", "esagerata", mentre lui è solo "sincero" o "passionale".

È potere quando viola la tua privacy, controllando il tuo telefono o i tuoi profili social, ammantando questo controllo di un'aura di gelosia protettiva.

È potere quando limita le tue relazioni amicali e quelle con la tua famiglia d'origine, isolandoti lentamente, rendendoti sempre più dipendente dal suo giudizio e dalla sua presenza, facendoti credere che lo faccia "per il vostro bene", per proteggerti da "cattive influenze".

È potere quando ti costringe, esplicitamente o attraverso pressioni psicologiche costanti, a pratiche e frequenze sessuali che non desideri, facendo passare il suo desiderio come un bisogno primario e il tuo come un capriccio negoziabile.

È potere quando ti impedisce di essere autonoma economicamente o di perseguire la vita professionale che desideri, magari attraverso il sabotaggio sottile o la svalutazione continua delle tue capacità, perché un tuo successo minerebbe la sua posizione dominante.

In tutti questi casi, un uomo non ti tiene ostaggio della sua forza fisica. Ti tiene ostaggio del suo genere e delle implicazioni culturali che esso comporta.

Non è la forza di un uomo a determinare il suo potere, ma il suo potere a rendere la sua forza un'opzione praticabile.

La violenza fisica, infatti, spesso arriva solo dopo. È la scelta di chi sente che il proprio potere, esercitato in tutti gli altri modi, sta vacillando. Quando una donna decide di andarsene, di riprendersi la propria autonomia, di sottrarsi al controllo, un uomo che si è sempre definito in base al suo potere su di lei percepisce questa perdita come un annientamento totale. Privato dei suoi strumenti di controllo psicologico, economico e sociale, può ricorrere all'unica cosa che gli rimane: la forza bruta.

La somma dei femminicidi in cui vengono usate armi da taglio e da fuoco supera tristemente quelli connessi all'uso della sola forza fisica: un'arma annulla qualsiasi differenza di stazza o di allenamento. Non è una gara a chi è più forte, o perlomeno non lo è quasi mai. È la manifestazione di una volontà di annientamento, l'atto finale di chi non accetta di aver perso il controllo, il possesso.

Le donne, statisticamente, non rispondono alla violenza con la stessa moneta, pur avendone spesso la possibilità. Questo non è un gioco di forze equivalenti in cui una parte prevale. È la dimostrazione che il problema non risiede nella capacità fisica, ma nella cultura che educa a rispondere alla frustrazione, alla perdita, alla messa in discussione del proprio potere.

Le donne non ci uccidono di meno perché "non possono", ma perché non vogliono. Perché la loro socializzazione non le ha educate a vedere la violenza e il dominio come strumenti legittimi per affermare sé stesse o per gestire le relazioni. La nostra, invece, troppo spesso lo ha fatto. La vera sfida, per noi, non è essere più forti del nostro centesimo di gorilla, ma del patriarcato che vive dentro di noi.

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