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Il silenzio degli uomini

Fragilità nascoste e prezzo della solitudine

C'è un silenzio che pesa, una solitudine spesso invisibile che avvolge molti uomini. È il silenzio che circonda le nostre difficoltà interiori, i nostri problemi, le nostre paure. In una società che per secoli ha tessuto il mito dell'uomo forte, inscalfibile, sempre performante, ammettere di avere bisogno, di soffrire, di non farcela, è ancora percepito da molti come un tabù, un segno di debolezza, una crepa in quell'armatura di virilità che ci è stato insegnato a indossare fin da bambini.

Parliamoci chiaro: la fragilità, l'incertezza, il bisogno di supporto emotivo sono esperienze umane universali, non appannaggio di un genere piuttosto che di un altro. Eppure, per noi uomini, questi aspetti sono stati a lungo relegati nell'ombra, considerati "poco virili". Ci è stato insegnato a "stringere i denti", a "cavarsela da soli", a non mostrare mai il fianco. Il risultato? Un esercito di uomini che, pur soffrendo, si vergognano di chiedere aiuto, che nascondono le proprie difficoltà psicologiche dietro una facciata di apparente sicurezza o, peggio, dietro l'aggressività o la chiusura totale.

Questa difficoltà ad aprirsi, a nominare e condividere il proprio mondo interiore, non è priva di conseguenze. Anzi, è spesso il preludio a un'incapacità più generale di gestire le proprie emozioni in modo sano. Se non ci si dà il permesso di sentire e di esprimere la tristezza, la paura, l'ansia, queste emozioni non scompaiono; si accumulano, fermentano, e possono esplodere in modi distruttivi. La rabbia, ad esempio, diventa spesso l'unica emozione socialmente "accettabile" per un uomo, il canale attraverso cui si sfogano frustrazioni e dolori inespressi. E questa rabbia, quando non gestita, può facilmente tramutarsi in comportamenti violenti – verso gli altri, in primis partner e familiari, ma anche verso se stessi.

Non è un caso, purtroppo, che le statistiche ci dicano due cose apparentemente contraddittorie ma profondamente collegate. Da un lato, gli uomini sono il genere che accede meno ai percorsi di psicoterapia e supporto psicologico. C'è ancora una forte resistenza culturale, una sorta di autosabotaggio che ci impedisce di cercare aiuto professionale quando ne avremmo bisogno, come se fosse un'ammissione di fallimento personale anziché un atto di cura e responsabilità verso sé stessi. Dall'altro lato, e questo è il dato più allarmante, gli uomini sono il genere più incline a commettere gesti autolesionisti, inclusi quelli estremi come il suicidio.

Questa solitudine sommersa, questa incapacità di chiedere aiuto e di elaborare il proprio dolore in modo costruttivo, crea un cortocircuito devastante. L'uomo che non riesce a parlare, che non trova spazi di ascolto non giudicante, che si sente intrappolato nel ruolo del "duro", può arrivare a vedere la violenza (etero o autodiretta) come unica via d'uscita da un malessere che non sa come altrimenti gestire. L'aggressività verso l'esterno diventa un modo per proiettare il proprio dolore, per affermare un senso di potere altrimenti vacillante. L'autolesionismo, nella sua forma più tragica, può apparire come l'unica soluzione per porre fine a una sofferenza interiore ritenuta insopportabile e incondivisibile.

"Andare oltre la violenza" significa, quindi, anche e soprattutto andare oltre questo modello di mascolinità silente e sofferente. Significa creare una cultura in cui per un uomo sia normale, accettabile e persino incoraggiato parlare delle proprie emozioni, chiedere aiuto, mostrarsi vulnerabile senza timore di essere giudicato. Significa costruire spazi di ascolto e di confronto tra uomini, dove poter deporre le maschere e riconoscersi nelle fragilità altrui. Significa promuovere l'accesso alla cura psicologica come un diritto e uno strumento di benessere, non come un'etichetta.

Rompere il silenzio sulle nostre difficoltà interiori non è solo un atto di liberazione personale; è un passo fondamentale per prevenire la violenza in tutte le sue forme. Un uomo che impara a conoscere, accettare e gestire le proprie emozioni, che sa chiedere e ricevere supporto, è un uomo meno incline a trasformare il proprio dolore in aggressività verso gli altri o verso sé stesso. È un uomo più capace di costruire relazioni sane, paritarie e rispettose. È, in definitiva, un uomo più pienamente umano. E questo è un obiettivo per cui vale la pena lottare, parola dopo parola, silenzio dopo silenzio infranto.

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