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Ho amici ovunque

Piantare semi nel deserto

Pensa a come sei fortunato ad avere il tuo migliore amico. Ma chiediti anche se è il tuo unico amico. A volte è davvero così.

Per noi uomini è spesso strutturalmente difficile avviare, coltivare e vivere relazioni amicali significative e profonde. Non si tratta di incapacità individuale, ma di un condizionamento culturale che ci porta a navigare nel deserto emotivo nelle nostre connessioni con altri uomini. La comunicazione tra amici uomini cerca più la conferma che il confronto. Fuggiamo l'introspezione condivisa, il dibattito sulle nostre vulnerabilità e, in modo quasi sistematico, il conflitto costruttivo, quello che ci permette di crescere, e di rinsaldare un legame attraverso la comprensione delle divergenze.

In molti contesti amicali maschili, l'unico conflitto che ammettiamo (e temiamo) è lo scontro, che conduce alla rottura totale e insanabile. La rabbia, una delle poche emozioni la cui espressione ci è socialmente concessa, diventa un comodo scudo per trincerarsi nelle proprie posizioni, per preservare un'illusoria integrità del nostro punto di vista senza il "pericolo" di doversi aprire, di mostrare il fianco. È anche per questo che tante nostre amicizie si fondano su un tacito patto di autoconferma e di non belligeranza emotiva: il timore sotterraneo è che qualsiasi divergenza significativa, qualsiasi tentativo di mettere in discussione l'altro su un piano personale, possa deflagrare unicamente in una frattura definitiva. Manca, o è drammaticamente rara, la capacità di "riparazione" del rapporto, quel processo delicato e prezioso che però ci richiederebbe un'esposizione emotiva, un coraggioso affacciarsi verso l'altro per ricucire uno strappo, ammettere un errore o comprendere una ferita.

Le nostre amicizie maschili sono spesso inconsistenti, "poche" non solo numericamente con l'avanzare dell'età, ma anche "povere" di contenuto emotivo autentico. Si strutturano attorno ad attività condivise – lo sport, gli hobby, il lavoro, le uscite di gruppo – che fungono da contenitore, ma raramente da catalizzatore per uno scambio più intimo e trasformativo. La battuta goliardica, il consiglio pratico, il supporto cameratesco diventano i registri comunicativi prevalenti, mentre il racconto delle proprie difficoltà interiori, delle paure, delle insicurezze, o un confronto aperto su dinamiche relazionali complesse, resta un tabù, un non detto che appesantisce l'aria. Questa superficialità autoimposta, questa cronica mancanza di profondità, rende le nostre amicizie legami fragili e poco nutrienti dal punto di vista emotivo.

La nostra competenza emotiva – la capacità di riconoscere, comprendere, esprimere e gestire, e quindi contenere le nostre emozioni e quelle altrui – è spesso valutata negativamente, se non apertamente scoraggiata. Non dobbiamo piangere, dobbiamo essere forti, non dobbiamo essere femminucce. Questo apprendimento precoce ci preclude la possibilità di sviluppare un ricco vocabolario emotivo e mina qualsiasi confidenza nell'esprimere il nostro mondo interiore. Lo stereotipo di genere del "maschio forte e silenzioso" agisce come un potente inibitore, prevenendo la strutturazione di una personalità realmente aperta sia verso l'esterno che verso l'interno. Verso l'esterno, questa chiusura si traduce in una difficoltà a costruire legami empatici profondi e a gestire il conflitto in modo costruttivo. Verso l'interno, la conseguenza è una nostra scarsa capacità di introspezione, di auto-ascolto.

In questo deserto noi uomini etero rischiamo di avere un’unica oasi, ovvero la relazione intima con la nostra compagna (quando presente) che assume il ruolo (e il carico insostenibile) di unica relazione significativa. In assenza di altri spazi sicuri per la confidenza e il supporto emotivo, la nostra partner diventa l'unica depositaria delle fragilità, delle ansie, dei bisogni inespressi, delle paure recondite del compagno. È a lei che si riversa, spesso in modo disordinato e inconsapevole, tutto quel mondo interiore che non trova accoglienza altrove. Questo sovraccarica la relazione di coppia di aspettative sproporzionate: abbiamo al nostro fianco una donna che non è solo amante e partner, ma deve farsi anche migliore amica, confidente esclusiva, terapeuta improvvisata, unico specchio emotivo. Un fardello immenso, che può logorare anche i legami più solidi, generando frustrazione, risentimento e, paradossalmente, ulteriore isolamento per noi qualora la relazione entri in crisi o si interrompa. Il rischio di crollo emotivo in seguito a una separazione è, per molti di noi, amplificato proprio da questa desertificazione affettiva pregressa: venendo a mancare l'unico pilastro, ci ritroviamo completamente scoperti, senza una rete di supporto amicale capace di attutire il colpo e offrirci un approdo.

Se l'amicizia non offre occasioni di confronto autentico e l'identità maschile è costruita su imperativi esterni di forza e autosufficienza, ci ritroviamo soli nel definire chi siamo e chi vogliamo diventare. Mancano modelli maschili plurali e positivi che ci mostrino come sia possibile integrare forza e vulnerabilità, autonomia e capacità di chiedere aiuto. Questa carenza di riferimenti e la difficoltà a coltivare un dialogo interiore profondo rafforzano uno scenario di povertà emotiva maschile che ci allontana dagli altri e da noi stessi. Si crea un circolo vizioso: la paura della nostra interiorità e l'incapacità di condividerla portano all'isolamento; l'isolamento amplifica le insicurezze e il senso di inadeguatezza; questi, a loro volta, rendono ancora più difficile aprirsi e cercare connessioni autentiche. Ne risulta un generale senso di solitudine dato dalla povertà di strumenti e riferimenti utili a un’identità personale matura e in evoluzione.

"Andare oltre la violenza", per noi uomini, significa anche e soprattutto andare oltre questi schemi relazionali e identitari disfunzionali. Significa riconoscere il valore e il bisogno vitale di amicizie maschili autentiche, basate sulla fiducia, sull'ascolto reciproco, sulla possibilità di essere sé stessi – fragilità incluse – e sulla capacità di affrontare e riparare i conflitti. Significa sfidare attivamente gli stereotipi che ci vogliono emotivamente analfabeti, isolati nella nostra presunta autosufficienza, o capaci di esprimere solo rabbia. Coltivare amicizie in cui sia possibile confidarsi, chiedere aiuto senza vergogna, offrire supporto senza sentirsi sminuiti, e persino litigare per poi ritrovarsi e crescere insieme, non è un segno di debolezza, ma di maturità, intelligenza emotiva e forza interiore.

Riscoprire e reinvestire nell'amicizia tra uomini, in una forma più profonda, onesta e nutriente, può arricchire enormemente le nostre vite, fornendoci supporto, comprensione, specchi per la nostra crescita e quel senso di appartenenza che va oltre le superficialità. Diventando più capaci di intimità, confronto e connessione emotiva con altri uomini saremo anche più capaci di relazioni sane, paritarie e rispettose con tutti, contribuendo a erodere quella solitudine e quella frustrazione che possono sfociare in comportamenti dannosi per noi e per gli altri. È un invito a popolare quel deserto, a piantare semi di autenticità e connessione.

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