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"E questo cos'è?"

Come fa a riuscirci OGNI VOLTA?

Guardi impotente la dispensa, occhio trotesco fisso nel vuoto. Riecheggia ancora in cucina l'ennesimo "E questo cos'è?", detto dalla tua compagna mentre posa sul tavolo quello che ti aveva chiesto di prendere. Ti sei innamorato di David fottuto Copperfield.

Questo piccolo dramma quotidiano si chiama weaponized incompetence, o incompetenza strumentale, e si basa sull'assunto che abbiamo accanto a noi una persona che non ha la vista a raggi x, ma semplicemente si porta sulle spalle tutto il carico mentale della coppia.

Ci fingiamo incapaci, o dimostriamo una goffaggine esasperante, nello svolgere determinati compiti – dal trovare le nostre cose al caricare la lavastoviglie in modo "corretto", dal cambiare un pannolino al ricordare una scadenza. L'obiettivo, non sempre confessato nemmeno a noi stessi, è semplice: evitare quella responsabilità, scaricandola subdolamente sulla partner. "Tu lo fai meglio", "Non sono bravo come te a fare queste cose", "Se lo faccio io, poi è peggio" sono frasi che, purtroppo, suonano familiari in molte case. Non si tratta, nella maggior parte dei casi, di una reale incapacità genetica di trovare un barattolo di pelati in dispensa, quanto di una comoda (per noi) abitudine a delegare, a non "vedere" per non dover fare.

Se io "non trovo" o "non so fare", lei non solo dovrà intervenire per risolvere il problema contingente, ma dovrà anche costantemente pensare per due. Il carico mentale è quel lavoro invisibile, ma estenuante, di pianificazione, organizzazione, coordinamento e supervisione della vita familiare e domestica. È il tenere a mente le scadenze delle bollette mentre si pianifica la lista della spesa, il ricordare l'appuntamento dal pediatra mentre si pensa a cosa mettere in valigia per il weekend, il preoccuparsi che ci sia sempre tutto il necessario in casa, dal dentifricio alla carta igienica. È un flusso continuo di "cose da fare" e "cose a cui pensare" che deleghiamo in maniera sproporzionata.

La nostra "innata" incapacità di trovare (o fare) le cose, quindi, non è solo una questione di distrazione. È spesso il sintomo di un sistema in cui noi uomini ci siamo auto-esonerati dal "vedere" e dal "sapere dove sono le cose" perché, implicitamente, c'è qualcun altro che se ne fa carico. Qualcun altro che tiene la mappa mentale della casa, degli impegni, dei bisogni di tutti. Ogni volta che la nostra compagna "magicamente" trova l'oggetto che noi cercavamo invano, non sta compiendo un miracolo, sta semplicemente utilizzando quella mappa mentale che lei, e solo lei, è costretta a tenere costantemente aggiornata. E ogni volta che ciò accade, il suo carico mentale si appesantisce di un'ulteriore micro-gestione.

Le conseguenze di questa dinamica sono pesanti: essere l'unica depositaria del carico mentale della coppia significa per una donna stress, stanchezza cronica, la sensazione di non avere mai un momento per sé, frustrazione. Ma anche per noi uomini, e per la coppia, gli effetti sono negativi. Un uomo che si affida costantemente all' "abilità magica" della partner per navigare la propria quotidianità perde competenze pratiche, autonomia e, soprattutto, l'opportunità di essere un partner realmente alla pari. Si crea una dinamica genitore-figlio all'interno della coppia che erode l'intimità e il rispetto reciproco.

Fingendoci cronicamente incapaci, ci assicuriamo un trattamento da eterno "ospite d'onore" in casa nostra. Un ospite a cui tutto è dovuto, che non deve minimamente preoccuparsi dell'ingranaggio che fa funzionare la "macchina" familiare, e che, soprattutto, non dovrà mai rispondere delle proprie responsabilità casalinghe e familiari in generale. Questa non è solo una strategia per schivare la fatica fisica delle incombenze domestiche. Spesso infatti abbiamo una nostra "nicchia", l'ambito dei nostri amati "lavori da uomini", che facciamo sinceramente volentieri e che ci aspettiamo che comporteranno una pioggia di complimenti per aver fatto qualcosa di utile. Il che sembrerebbe alla fine dei conti giustificare la bontà di una divisione tra "lavori da donna" e "lavori da uomo", o per chi si sente più moderno "le cose che ama fare lui" e "le cose che ama fare lei".

Ma io vedo dietro questa narrazione una manovra, spesso sottile, per sottrarci a qualcosa di più impegnativo: il confronto paritario all'interno della coppia. Manca infatti in tutto questo, al netto delle buone intenzioni e del sudore profuso nella vita casalinga, la negoziazione di compiti, modi di fare le cose, significati condivisi. Significa eludere la necessità di parlare esplicitamente di ruoli e responsabilità all'interno di una relazione tra adulti che agiscono alla pari, dove entrambi i partner sono co-piloti e non uno il passeggero di lusso e l'altro il conducente oberato a cui tocca pure ritrovare le chiavi smarrite.

Assumerci la responsabilità completa della nostra parte nella gestione della vita comune è un'opportunità di crescere nella relazione. Non si tratta di "aiutare" la nostra compagna, ma di condividere equamente il lavoro, visibile e invisibile. Questo non nega la possibilità di seguire inclinazioni e desideri di ciascuno, ma non deve essere un modo per dedicare un'unica testa al carico mentale. Imparare dove sono le cose, partecipare attivamente alla pianificazione, anticipare i bisogni, e sì, anche sforzarsi di trovare le chiavi prima di delegare la ricerca.

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